Speriamo di uscirne presto. Ma non dobbiamo illuderci: altri virus o pandemie sono dietro l’angolo e, tra non molti anni, probabilmente, si manifesteranno. Abbiamo scoperto che il mondo occidentale (ricco e all’avanguardia?), alla stessa stregua o quasi di altre zone meno fortunate, può essere un facile bersaglio.
Per scongiurare uno scenario di questo tipo ci dobbiamo confrontare con noi stessi e con il nostro recente passato. Si rende necessario un nuovo approccio al futuro. Ed è per tale motivo che abbiamo deciso di condensare le regole di una “nuova stagione” in un decalogo per politici, decisori e cittadini.
-I motti tramandati di generazione in generazione, e che parevano luoghi comuni e modi di dire, del tipo “la salute prima di tutto”, “pensa alla salute”, “quando c’è la salute c’è tutto”, ora devono diventare comandamenti divini, leggi inderogabili, stelle polari del nostro agire. Tutto il resto, compreso il benessere, il progresso e l’economia, vengono dopo. Da oggi la nostra condotta di vita deve essere costantemente improntata al principio di precauzione. E la tutela della salute, individuale e collettiva, deve diventare il must per eccellenza.
-Richiamandoci al punto precedente va da sé che, anche in termini di spesa pubblica, la sanità deve collocarsi al primo posto, o almeno ad un rango superiore. Il sistema sanitario era strutturato per rispondere alle criticità previste e prevedibili, ma non era preparato ad affrontare le pandemie che sembravano solo elementi storiografici o emergenze tipiche di luoghi lontani. Non è più così. E quindi si devono cambiare i parametri. Niente più tagli massicci e chiusure di ospedali. Lotta agli sprechi sì, contrasto feroce a corruzione, truffe, infiltrazioni mafiose, ecc., ma no a tagli di risorse. Per evitare l’esplosione della spesa pubblica ci sono altri rimedi. Ad esempio, si deve cancellare quella miriade di enti pubblici inutili e inspiegabili, la cui esistenza è utile solo a garantire un posto di lavoro agli amici (e agli amici degli amici) o che vengono utilizzati come ricompensa per politici “trombati” alle elezioni, che con la loro candidatura hanno contribuito all’elezione di qualcuno che li può sistemare…
E gli altri enti afferenti al pubblico che dovessero sopravvivere dovrebbero essere gestiti da manager, da persone con competenze specifiche comprovate e non da politici o ex politici che nella vita privata facevano tutt’altro (in ossequio al criterio “dell’eterno riciclo”)! Ma questo è solo uno dei tanti esempi di razionalizzazione della spesa pubblica. Molti altri si presentano ai nostri occhi in tutta la loro evidenza (e assurdità…).
-Avendo evidenziato la necessità di aumentare le risorse da destinare alla sanità, di pari passo è doveroso aumentare i fondi alla ricerca soprattutto quella parte che si occupa di cura della salute e di salvaguardia del pianeta, le cui ripercussioni sulla salute sono facilmente intuibili.
-E’ giunto il momento di tornare indietro. Sì all’abolizione del numero chiuso per l’accesso alla Facoltà di Medicina. Servono molti più medici. Capisco che ampliare il numero degli studenti potrebbe comportare uno scadimento della loro formazione e della loro preparazione a causa della limitazione di strutture, attrezzature, professionisti e altro. Ma la soluzione si può trovare. Anche perché, come già accennato, parallelamente si dovrà procedere a un potenziamento di tutta la “macchina sanitaria”. E, comunque, adesso la prima esigenza prevale sulla seconda. Senza considerare che molti diventano medici all’estero e, in qualche modo, aggirano le barriere all’entrata vigenti in Italia. E poi, stop alla nomina di primari ospedalieri e dirigenti sanitari su base politica. Si viola il principio di pari opportunità e, soprattutto, si violenta il principio meritocratico magari nominando persone che non sono all’altezza per quel ruolo. E ciò genera problematiche intuibili (anche di natura economica). I presidenti di Regione non possono nominare primari o altre figure assimilabili (direttore generale, direttore sanitario, ecc.) né devono influire in alcun modo nella nomina che deve essere completamente sganciata dalle dinamiche politiche.
-Non si può più procrastinare la ricerca di soluzioni serie e drastiche per contrastare il surriscaldamento del pianeta, i cambiamenti climatici e l’inquinamento atmosferico. La scusa del progresso tecnologico che non può essere fermato non regge più. Non è necessario tornare a un modello di vita di alcuni decenni fa. Ma, sicuramente, un passo indietro, che corrisponde a un passo avanti in termini di cura del pianeta, è obbligatorio. Emarginare con tutti i mezzi possibili i decisori che si rifiutano di intervenite in tal senso. L’esempio classico è rappresentato da Donald Trump (ma purtroppo non è il solo…). Chiunque dovesse continuare a tirarsi indietro quando si tratta di discutere di tali tematiche, o dovesse proseguire in questo assurdo negazionismo, dovrebbe essere combattuto senza esitazione alcuna e perseguito come un criminale. Deridere Greta Thunberg o altri attivisti non è più tollerabile! E poi etichettare coloro che condividono lo sforzo di Greta come dei “gretini” non è nemmeno ironico…
-Anche il modello di globalizzazione vigente va messo parzialmente in discussione. Lungi da me pensare alla chiusura perpetua delle frontiere, al protezionismo, all’isolamento identitario, ecc. Mi sono sempre dichiarato contrario a principi di questo genere che, in realtà, rappresentano dei disvalori. Ma, negli ultimi tempi, la globalizzazione è diventata selvaggia. Bisogna regolamentarla, soprattutto in situazioni di emergenza. A titolo di esempio, se tra qualche tempo dovesse insorgere un altro virus, non si dovrebbe esitare un solo istante nel chiudere le frontiere per un certo lasso di tempo. Viaggiare un po’ di meno non è una rinuncia drammatica se in ballo c’è la vita.
-Ridurre ai minimi termini la burocrazia. Sono decenni che si parla di sburocratizzazione ma poi nella realtà tutto rimane come prima. In Italia siamo affezionati a un certo bizantinismo che ci permette di sfoggiare un’eredità culturale di rilievo. Chi scrive ama il barocco in tutte le sue manifestazioni, ma adesso bisogna dare un taglio netto a ricami, ridondanze normative, passaggi burocratici infiniti, scartoffie e tanto altro ancora. Il paese non può più rimanere intrappolato nelle pastoie burocratiche che paralizzano l’attività degli enti locali e delle Istituzioni in genere. Basta con la miriade di carte, delibere, autorizzazioni, visti, certificazioni, et similia, se non quelle finalizzate a garantire la sicurezza in senso stretto delle opere. Il potere di funzionari e dirigenti pubblici, che spesso si trasforma in un potere di veto e in un fattore ostativo esiziale, deve essere ridimensionato notevolmente. Non possono più essere premiati con lauti premi di produzione pagati dai cittadini (che si sommano a stipendi cospicui) solo perché i politici hanno interesse a “tenerseli buoni”, a fronte di un lavoro non sempre impeccabile…E, nel caso lo meritino, devono essere licenziati! La loro tutela (leggi e potere dei sindacati) è eccessiva. La pubblica amministrazione deve essere semplificata poiché è al servizio dei cittadini mentre negli ultimi tempi ha assunto le sembianze del nemico dei cittadini. In quest’ottica, ad esempio, si può rinunciare parzialmente ai vincoli stringenti delle norme relative agli appalti pubblici (di opere e di servizi), come anche quelle inerenti avvisi e bandi pubblici. Non è più tempo di formalismi inutili e odiosi! Bisogna procedere con celerità. Tutte queste norme sono state concepite per contrastare l’illegalità, ma è forte la sensazione che siano state ideate anche, e soprattutto, per “mantenere il controllo”, per accentrare il potere, per poterlo gestire in un certo modo. L’illegalità si combatte con la certezza delle pene e con il rigore delle stesse. Anche la magistratura e le dinamiche giurisdizionali devono fare i conti con la tempistica e con le esigenze di celerità. In questa selva di ricorsi, impugnazioni, Tar, Consiglio di Stato, lungaggini processuali, e via discorrendo, il paese langue. Ci sono opere pubbliche delle quali si parla da trent’anni e sono ancora ai nastri di partenza (o forse ancora più indietro). Questo non significa che tutte le opere proposte siano da realizzare, ma quelle che si devono fare non possono vedere la luce dopo una gestazione di decenni. Ai funzionari e dirigenti pubblici si deve dare un tempo per ogni atto o procedimento. Se non lo rispettano devono essere sanzionati, se non licenziati. Questo paese non può più essere ostaggio dei burocrati e delle leggi che li forgiano!
-E’ il momento di regolamentare meglio l’erogazione di alcuni beni e servizi fondamentali. Per citarne alcuni che coinvolgono tutti possiamo pensare alla benzina e ai servizi bancari. Il prezzo della benzina aumenta in misura direttamente proporzionale a quello del petrolio solo quando questo cresce, mentre quando il petrolio diminuisce il prezzo alla pompa diminuisce ma in misura meno che proporzionale (diminuisce molto poco). Sappiamo tutti che in Italia, più che in altri paesi, il prezzo è gravato moltissimo dalla componente fiscale (Iva, accise) che rappresenta oltre il 65% del prezzo. Lo Stato ci perderebbe molto se il prezzo calasse a un livello ragionevole, ma nella fase post Covid non si può pensare che, magari a causa di altre turbolenze sui mercati, si possa di nuovo intravedere lo spettro dei 2 euro per un litro di benzina verde. Bisogna trovare una soluzione. Si deve passare da un range di 1,5-2 euro degli ultimi anni a un altro di 1-1,5 euro (possibilmente più vicino al valore minimo…).
E per ciò che concerne le banche sarebbe auspicabile un giro di vite. Non possono più chiedere aiuto allo Stato per rimediare ai danni frutto di scelte aziendali quanto meno discutibili per poi gratificare i manager responsabili con buonuscite milionarie. Se lo Stato, alla luce del ruolo fondamentale che assumono nel sistema economico, finanzia le banche, deve imporre una conditio sine qua non ovvero l’allocazione di quelle risorse in un certo modo (ad esempio immettendo una quantità minima di denaro sul mercato a determinate condizioni e a determinati soggetti).
-Nelle fasi di congiuntura particolarmente negativa o in situazioni di emergenza vera, si rende necessaria una revisione delle regole dettate da una politica improntata al principio di austerità. Questo non significa deregulation tout court, a prescindere, ma ricerca di un modello che, con equilibrio, riesca a indicare ora condizioni rigorose ora condizioni flessibili. L’integralismo senza se e senza ma non è mai una buona strada.
-L’ultima regola sarebbe la più importante ma, temo, la più utopistica. I cittadini devono scegliere meglio i propri rappresentanti politici. E altrettanto devono fare i partiti e i movimenti nella selezione degli stessi. Non auspichiamo di certo l’avvento della “sofocrazia (o noocrazia)” proposto da Platone (anche se in teoria sarebbe il massimo…), ma almeno una presa di coscienza matura circa l’importanza del ruolo che non può essere interpretato da molti (o addirittura da tutti…). Al di là dei valori morali e dell’etica pubblica, non possiamo più affidarci agli incompetenti, agli incolti, agli spacconi d’altri tempi, ai miliardari in cerca di un altro tipo di ebbrezza, agli sceriffi del vecchio west, ai beceri animati da istinti che si nutrono di nazionalismo, razzismo, ecc. E, per rimanere nel solco delle scelte razionali, ricordiamoci anche che la tecnologia è un ausilio importantissimo per la vita, ma non è la vita stessa. I social non sono la “vera socializzazione”. Essa rimane un concetto che rimanda a quello di contatto umano. Pensate a cosa potrebbe succedere a molte vite se tra qualche tempo facebook dovesse sparire: vuoto cosmico, incapacità di comunicare, perdita d’identità, depressione, suicidi di massa, e non so cos’altro…
Per concludere, potrei anche ammettere che le misure che propongo possano essere eccessive e difficilmente praticabili, soprattutto nel breve periodo. Ma se, tra un po’, tutto dovesse essere relegato nel dimenticatoio, e si riprendesse a marciare come prima, saremmo costretti a vivere presto, e spesso, tragedie ben più gravi di quella che adesso ci sta attanagliando.